Orlando furioso, RV 728

Scheda Tecnica

Compositore: Vivaldi, Antonio

Opus/Numero di catalogo: RV 728

Movimenti/Sezioni: 3 atti

Anno/Data di composizione: 1727

Prima rappresentazione: 11/1727 a Venezia, Teatro Sant Angelo

Librettista: Grazio Braccioli (da Lodovico Ariosto)

Lingua: Italiano

Periodo del compositore: Barocco

Stile del brano: Barocco

Strumentazione: voici, orchestra

(fonte: https://imslp.org/wiki/Orlando,_RV_728_(Vivaldi,_Antonio))


Argomento

Atto primo

Angelica è nel cortile del palazzo della maga Alcina, alla quale chiede aiuto per ritrovare Medoro, il suo amato. Ne ha perso le tracce mentre tentava di fuggire da Orlando, innamorato di lei, che la inseguiva. Alcina interrompe uno scontro tra Orlando e Astolfo e tenta di sedurre Orlando, il quale confessa che il suo cuore è vinto da Angelica. Alcina gli rivela che la donna è con lei e lo invita a fermarsi. Rimasti soli, Astolfo confessa a Orlando la vera identità di Alcina e si rammarica dell'indifferenza della maga nei suoi confronti. Giunge Bradamante, venuta in cerca dell'amato Ruggiero. Ha deciso di nascondere la sua identità (e il suo sdegno) alla maga finché non avrà ritrovato il suo sposo. Rimasto solo, anche Orlando si appresta a sfidare Alcina. Dal giardino, Angelica osserva il mare in tempesta e assiste al naufragio dell'amato Medoro che trae in salvo appena in tempo. In punto di morte, Alcina sana le sue ferite e Angelica le è debitrice. Irrompe Orlando: accecato dalla gelosia vorrebbe uccidere Medoro, ma Alcina gli fa credere che questi sia il fratello di Angelica. Quest'ultima sta al gioco, e sebbene non sia sincera nel giurare fedeltà a Orlando, Medoro stenta a trattenersi e si sfoga con Alcina. Su un destriero volante nel giardino di Alcina atterra Ruggiero. La maga, colpita dalla sua bellezza, lo invita a fermarsi. Lui accetta l'ospitalità: si disseta a una fonte e immediatamente cade ai suoi piedi. Bradamante, arrivata all'improvviso, è furiosa. Lo accusa di tradimento ma l'amato non la riconosce nemmeno. Rimasta sola, Alcina deride Bradamante: è sicura che non avrà alcuna speranza di riconquistarlo.

Atto secondo

In un boschetto Alcina è sola con Astolfo; lui, innamorato, soffre per la sua incostanza, ma lei lo disillude. Rimasto solo, Astolfo è raggiunto da Bradamante che rinfaccia all'amico la sua debolezza nei confronti della maga, e lo sprona a esserle solidale. Sopraggiunge Ruggiero che continua a non riconoscere Bradamante finché lei non gli consegna l'anello ricevuto in pegno da lui stesso; l'anello dissolve l'incantesimo di cui è vittima. Bradamante non è ancora disposta a perdonare il suo amato e anzi lo invita a tornare da Alcina con quello stesso anello per comprendere chi lei sia realmente. Medoro e Angelica si ritrovano: i due saranno presto sposi, annuncia lei, ma questa notizia non basta a rassicurare Medoro, ancora impensierito dalla presenza di Orlando. E non del tutto a torto: Angelica progetta infatti di liberarsi del paladino, causandone la morte giù da una rupe, e per riuscirci lo corteggia. Per lei il cavaliere accetta di sfidare una bestia feroce posta a guardia di un vaso contente acqua di eterna giovinezza. Orlando è determinato e comincia la scalata, rinvigorito dalla pericolosità della sfida. Chiama a gran voce il mostro ma in risposta una voce gli svela la realtà: è prigioniero di Alcina in una spelonca senza uscita. Angelica lo ha dunque tradito, ma Orlando non si arrende e riesce ad aprirsi una strada verso l'esterno. Nel frattempo Bradamante e Ruggiero si incontrano di nuovo e si riconciliano. Angelica e Medoro sono finalmente sposi. Alcina benedice le nozze, ma è costretta ad allontanarsi perché impensierita dall'assenza di Ruggiero. Angelica e Medoro si rammaricano per la tristezza di Alcina ma sono rapiti dal reciproco amore. Sopraggiunge Orlando: presa coscienza del matrimonio tra Angelica e Medoro, si dispera.

Atto terzo

Davanti al tempio d'Ecate, che è chiuso da un muro d'acciaio, Astolfo è convinto che Orlando sia morto e propone a Ruggiero di dargli sepoltura onorata e intanto di vendicarsi di Alcina. Ruggiero è raggiunto da Bradamante, vestita con abiti da cavaliere. Alcina, indispettita dall'indifferenza che le dimostra Ruggiero, evoca i «numi orrendi d'Averno», ma invano. Ancor più furente, la maga intende ricorrere allo spirito di Merlino e ordina alle mura d'acciaio di aprirsi. Entra in scena a questo punto Orlando, delirante per la pazzia. Alcina, Bradamante e Ruggiero lo compatiscono. Nel suo delirio, Orlando scambia la statua di Merlino per Angelica e, per liberarla, affronta il custode Aronte e lo uccide. Poi si avvicina alla statua che crede essere Angelica, la abbraccia e la strappa per condurla via, ma così facendo scatena un terremoto: ormai ha rotto l'incantesimo, crolla il tempio e l'isola appare deserta. Il paladino è molto stanco e si addormenta. Alcina è disperata, ha perso i suoi poteri e vorrebbe uccidere Orlando, che però dorme ancora, ma Ruggiero e Bradamante la fermano in tempo. Giunge intanto Astolfo; uno dei soldati di Logistilla che sono con lui reca in mano una fiaccola accesa, che è «lo smarrito lume della mente d'Orlando», di cui lo stesso Astolfo è venuto in possesso. I cavalieri svegliano Orlando che, alla vista di quella fiamma, ritrova la ragione, perdona Angelica e benedice le sue nozze con Medoro. Astolfo chiude con la morale: «saggio, chi dal fallir prudente impara».


Guida all'ascolto

La figura dell'impresario, qualifica professionale nata a Venezia nel Seicento e ancora centrale nel secolo successivo, potrebbe, a un primo sguardo, risultare lontana dalla personalità di Antonio Vivaldi, normalmente celebrato come straordinario musicista (già nel 1703, venticinquenne, è «maestro di violino» all'Ospedale della Pietà), talentuoso compositore di musica strumentale e sacra e - grazie a più recenti scoperte e studi musicologici - anche poliedrico operista. Eppure proprio in quella veste, che ricopre dal 1714 al Teatro Sant'Angelo, il Prete Rosso viene in contatto con l'epos visionario di Ludovico Ariosto, il cui Orlando furioso è trasposto in musica da Giovanni Alberto Ristori debuttando proprio in quella sala nel novembre del 1713. Alla fine della stagione successiva infatti, quando già aveva composto lo sfortunato Orlando finto pazzo, Vivaldi, che appunto come impresario decretava quali titoli dovessero formare il cartellone, riprende l'opera di Ristori interpolandovi molte parti scritte di propria mano. Autore del libretto - come anche di quello dell'Orlando finto pazzo, che si ispira all'Orlando innamorato del Boiardo - è il giurista ferrarese Grazio Braccioli (1682-1752), che alla carriera accademica unisce la passione poetica, componendo ben undici drammi per musica, tutti allestiti al Sant'Angelo nell'arco del quinquennio 1711-1715 (tra i quali anche il Rodomonte sdegnato, terza tappa 'orlandiana' musicata questa volta dal toscano Michelangelo Gasparini). Il testo di Braccioli non è certo l'unico ad attingere alla vicenda del celebre nipote di Carlo Magno: il Furioso infatti, soprattutto tra xvii e xviii secolo, è tra i soggetti privilegiati del melodramma 'eroico', come dimostrano, per fare un solo esempio, i tre lavori scritti tra il 1733 e il 1735 da Georg Friedrich Händel, Orlando, Alcina e Ariodante. Se all'altezza del 1715 Vivaldi stava ancora sperimentando le peculiarità proprie del genere teatrale, dopo l'esordio a Vicenza nel 1713 con Ottone in villa, negli anni Venti la sua produzione operistica vanta già diversi titoli, tra cui La verità in cimento, andata in scena nell'ottobre del 1720 e subito messa alla berlina come emblema del degrado musicale da Benedetto Marcello nel suo Teatro alla moda. Le polemiche suscitate da questo pamphlet spingono il musicista ad allontanarsi dalle scene lagunari, dividendosi tra i palcoscenici di Milano e Roma. Al suo ritorno, nel 1725, la notorietà ormai acquisita, oltre alla notevole capacità imprenditoriale, lo rende uno tra i protagonisti del teatro veneziano. Assunta la carica di «direttore delle opere in musica», più qualificata e completa di quella di semplice impresario, gestisce con abilità la programmazione del Sant'Angelo, nel quale - due anni dopo - presenta il suo proprio Orlando, composto ex novo pur recuperando, come era prassi al tempo, qualche elemento già da lui utilizzato nel 1714. L'opera, che si serve quasi in toto del libretto di Braccioli, è presentata al pubblico senza aggettivo qualificativo, con ogni probabilità per differenziarla da quella di Ristori, ma la parola «furioso» compare nella partitura autografa, recuperata e messa in salvo nel primo Novecento dopo un lungo e periglioso peregrinare tra le biblioteche private di ricchi collezionisti. Il debutto, avvenuto nell'autunno del 1727, vede la partecipazione, nei ruoli chiave di Orlando e Alcina, di due celebri cantanti dell'epoca, Lucia Lancetti e Anna Girò, entrambe già in precedenza interpreti vivaldiane. La seconda, in particolare, univa a una voce di mezzosoprano aggraziata ma non eccelsa un'irresistibile presenza scenica. Un fine osservatore qual è l'abate Antonio Conti - dopo averla vista nel Farnace (1727) - dirà di lei che «fa delle meraviglie anche se la sua voce non è delle più belle». La trama, ovviamente ridotta all'osso rispetto al corpus dei quarantasei canti dell'Ariosto, trascura la guerra santa tra cristiani e musulmani, concentrandosi sull'aspetto sentimentale del poema cinquecentesco. L'eros pervade ciascuno dei tre atti, in cui si alternano amanti non corrisposti (Orlando da Angelica, Astolfo da Alcina, che lo seduce per poi schernirlo), macchinazioni e incantesimi orditi dalla crudele maga Alcina (come la seduzione di Ruggiero, sposo di Bradamante, grazie all'acqua di una fonte magica), giuramenti fallaci di fedeltà (come quello di Angelica a Orlando, mentre in realtà lo inganna nella speranza di ucciderlo), agnizioni e conclusivi ricongiungimenti. In un'atmosfera fantastica pervasa di cavalli volanti, forze demoniache e sortilegi di ogni tipo, spicca naturalmente la pazzia che affligge Orlando dopo aver scoperto l'unione di Angelica e Medoro: nello svilupparsi di questa follia sono compresenti momenti tragici e risvolti comici, come già nel modello rinascimentale, del quale sono anche parafrasati alcuni versi (oltre alla citazione letteraria del celeberrimo incipit, «Le donne, i cavalier, l'arme, gli amori», atto iii, scena 5). Alla fine l'amore 'coniugale' ha ovviamente la meglio e non manca la tradizionale conclusione gnomica, messa in bocca ad Astolfo: «Saggio, chi dal fallir prudente impara». Braccioli insomma spazia all'interno dell'originale ariostesco, attingendo elementi disseminati in libri diversi per poi ricollocarli liberamente nel proprio adattamento, nel quale, a livello drammaturgico, assume maggiore centralità il ruolo di Alcina. Alla crudele maga, d'altro canto, è data preminenza anche dal punto di vista musicale, essendole intestate sei arie oltre a tre recitativi accompagnati. In termini generali, la partitura vivaldiana si pone nettamente in controtendenza rispetto al melodramma 'napoletano' in voga a quei tempi, che aveva messo in atto un radicale processo di riforma delle forme barocche in direzione di una 'semplificazione' della struttura orchestrale a vantaggio dell'omofonia e a scapito del contrappunto. Il teatro musicale, in quel periodo - sulla scia di giovani compositori come Nicola Porpora, Leonardo Vinci, Leonardo Leo, Johann Adolf Hasse e Giovanni Battista Pergolesi - vedeva l'avvento del fenomeno divistico dei castrati, e puntava sul virtuosismo e sulla spettacolarità di questi artisti, come denunciato proprio da Benedetto Marcello nel suo libello polemico. Pur conoscendo queste nuove istanze stilistiche (e introducendo in alcune zone dell'Orlando momenti di cristallina, 'moderna' cantabilità, anche in alcune delle arie maggiori), alla centralità della voce Vivaldi contrappone, nel solco di una prassi ormai consolidata, una robusta e costante presenza dell'orchestra, considerata parte essenziale nell'evocazione di atmosfere e paesaggi emotivi così come nella descrizione di ambientazioni naturalistiche e oniriche. La sua vocazione teatrale emerge nella tensione drammatica che contraddistingue le lunghe parti narrative destinate al recitativo come i momenti lirici propri delle arie. Ma l'attenzione rivolta dal Prete Rosso a tutto ciò che innovasse la tradizione musicale cui lui stesso apparteneva si può ben ravvisare nell'utilizzo, nell'aria di Ruggiero «Sol da te mio dolce amore» (atto I, scena 12), del flauto traverso, strumento di origine nordica quasi sconosciuto nella Venezia dell'epoca. L'Orlando furioso, al pari di molte altre opere vivaldiane, ha subito un lungo periodo di oblio. Solo sul finire degli anni Settanta del secolo scorso è stato riscoperto grazie all'esecuzione dei Solisti veneti al Filarmonico di Verona, guidati da Claudio Scimone. Del 2012 è invece l'incisione discografica diretta da Federico Maria Sardelli, che ha curato anche l'edizione critica dell'opera.

(tratto da: https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&cad=rja&uact=8&ved=2ahUKEwjks-jc7eDpAhWHNOwKHTWsDdsQFjADegQIBRAB&url=https%3A%2F%2Fwww.teatrolafenice.it%2Fwp-content%2Fuploads%2F2019%2F01%2F3ornd15230122531.pdf&usg=AOvVaw1Ey240nA64pWP4ig10ylPm)



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