Odissea, proemio

Testo greco

Ἄνδρα μοι ἔννεπε, Μοῦσα, πολύτροπον, ὃς μάλα πολλὰ

πλάγχθη, ἐπεί Τροίης ἱερὸν πτολίεθρον ἔπερσε·

πολλῶν δ' ἀνθρώπον ἴδεν ἄστεα καὶ νόον ἔγνω,

πολλὰ δ' ὅ γ' ἐν πόντῳ πάθεν ἄλγεα ὃν κατὰ θυμόν,

ἀρνύμενος ἥν τε ψυχὴν καὶ νόστον ἑταίρων.

ἀλλ' οὐδ' ὧς ἑτάρους ἐρρύσατο, ἱέμενός περ·

αὐτῶν γὰρ σφετέρῃσιν ἀτασθαλίῃσιν ὄλοντο,

νήπιοι, οἳ κατὰ βοῦς Ὑπερίονος Ἠελίοιο

ἤσθιον· αὐτὰρ ὁ τοῖσιν ἀφείλετο νόστιμον ἦμαρ.

τῶν ἁμόθεν γε, θεά, θύγατερ Διός, εἰπὲ καὶ ἡμῖν.


Traduzione

Narrami, o Musa, dell'eroe multiforme, che tanto

vagò, dopo che distrusse la rocca sacra di Troia:

di molti uomini vide le città e conobbe i pensieri,

molti dolori patì sul mare nell'animo suo,

per acquistare a sé la vita e il ritorno ai compagni.

Ma i compagni neanche così li salvò, pur volendo:

con la loro empietà si perdettero,

stolti, che mangiarono i buoi del Sole

Iperione: ad essi egli tolse il dì del ritorno.

Racconta qualcosa anche a noi, o dea figlia di Zeus.


Commento

Qui sopra sono proposti i primi 9 versi del primo libro dell'Odissea, i quali svolgono da proemio per l'opera. In esso viene anticipato l'argomento trattato all'interno del poema: il ritorno in patria da solo di Ulisse dopo un lungo e travagliato viaggio durante il quale conobbe molte genti.

Analizziamo il proemio, parola per parola, sottolineandone i concetti chiave per una comprensione non solo dei versi, ma anche di tutto il poema, fino a giungere ad una traduzione che sia fedele al testo ma anche abbastanza poetica.

Iniziamo dal primo verso, che mette in evidenza la parola ἄνδρα, accusativo singolare di ἀνήρ, che significa uomo, al quale si collega con un ampio iperbato la parola πολύτροπον. L'aver posto il termine "uomo" al primo posto, indica il fatto che l'uomo e la sua interiorità saranno i cardini dell'intera opera, incentrata appunto non durante la guerra, e quindi insieme a molti altri uomini, ma da soli, isolati, viaggiando per mare su una sola barca, fino a che Ulisse non giungerà all'isola dei Feaci completamente solo. È l'uomo il protagonista dell'Odissea, un uomo che non può trovare altre risorse che non siano provenienti dal suo ingegno, un uomo che indaga profondamente non solo nella sua anima (ψυχή), ma anche in quella di coloro i quali incontra durante il loro cammino. Ulisse viene definito appunto πολύτροπον, ovvero "multiforme", dalle mille risorse, che sa trovare il giusto stratagemma per risolvere tutte le prove e le situazioni che è chiamato a risolvere.

L'ingegno di Ulisse, insieme al suo desiderio radicato di conoscenza, lo spingerà a vedere molte genti e a conoscerne le menti (νόον) e quindi i loro modi di pensare e di agire, le loro usanze. In quanto l'uomo della conoscenza, Ulisse è costretto anche a conoscere il dolore e soffrire in cuor suo, nel suo animo, a patire dolori (ἄλγεα) per sé e per i suoi compagni. Difatti la singolarità iniziale del proemio, che sembra incentrarsi solo su Ulisse, si estende e osserva anche il punto di vista dei compagni (ἑταῖροι), i quali, come dice il testo, morirono l'uno dopo l'altro per aver commesso azioni da stolti. Ulisse cercò dunque di assicurare per sé stesso e anche per i suoi compagni il ritorno in patria (νόστον), solo che essi preferirono seguire gli istinti causando la collera delle divinità che non gli permisero la salvezza.

Proprio il tema del ritorno è centrale all'interno del poema. Esistono numerosi poemi definiti appunto νόστοι che sono le narrazioni del ritorno in patria degli eroi dopo la presa di Troia. Chiaramente l'Odissea rientra in questo genere e ne rappresenta l'esempio più emblematico.

Interessante notare che le parole "ritorno" e "dolore" sono state utilizzate per comporre una parola che non viene mai usata all'interno del poema, ma che venne coniata da uno studente di medicina, che è appunto "nostalgia" (etimologicamente νόστου ἄλγεα, ovvero "dolori del ritorno"), che rappresenta perfettamente lo.stato di Ulisse, uno stato di struggimento causato dalla lontananza da persone e luoghi cari.

Il tutto narrato sotto l'invocazione della musa: Omero utilizza un verbo particolare, ἔννεπε. Questa parola contiene la radice della parola ἔπος da cui deriva la parola stessa epica. In una traduzione, il verbo può essere reso con "narra", "racconta", anche se più propriamente il verbo significa "entra nella parola" (ἐν + dativo, stato in luogo). Se la narrazione del mito deve avvenire all'autore, quindi al μοι iniziale, al termine del proemio, il pronome viene ripreso come per creare una struttura ad anello, solo che non è più alla prima persona singolare, ma alla prima persona plurale, ἡμῖν, quasi a voler riprendere la contrapposizione che c'è all'interno del proemio stesso tra l'io e il noi.

Dopo questa piccola premessa possiamo provare a tradurre il passaggio cercando prima di rendere parola per parola ciò che c'è nel testo originale, in modo da poter conservare quanto più possibile il contenuto.

Narrami o Musa dell'eroe dalle molte risorse, che tanto vagò, dopo che (ἐπεὶ) ebbe distrutto la rocca sacra di Troia (ἱερὸν πτολίεθρον Τροίης): di molti uomini vide le città (ἄστεα; da ἄστυ, -εως, τὸ) e conobbe la mente, e molti dolori patì in mare (ἐν πόντῳ) nell'animo, lottando per la sua vita (lett. per la sua anima, ψυχὴν, intesa per i greci come soffio vitale) e per il ritorno dei compagni. Ma nemmeno così protesse i compagni, sebbene lo volesse: infatti perirono a causa delle azioni stolte (αὐτῶν σφετέρῃσιν ἀτασθαλίῃσιν, letteralmente "i loro interessi insensati), sciocchi (νήπιοι, che come primo significato ha "bambino", "inesperto", e quindi per traslato "infante" in senso dispregiativo e quindi "sciocco"), che mangiarono i buoi del Sole Iperione; quello però tolse a loro il giorno del ritorno. Di questi fatti, di' qualcosa anche a noi, o dea, figlia di Zeus.

Scritto da Andrea

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