Modernità fra assolutismo e rivoluzione inglese

Secondo Federico Chabod l'assolutismo seicentesco per essere compreso nella sua specificità va inserito nel contesto della formazione della struttura dello Stato moderno.

È opportuno evidenziare che la rivoluzione inglese affonda le proprie radici in un periodo di transizione dal medioevo all’età moderna. Essa è infatti indissolubilmente legata ai conflitti tra nobiltà e re che erano sorti in quel periodo. Il sistema su cui era fondata la società medievale era quello feudale, in cui ogni stato non era governato e amministrato da un potere centrale unico, bensì da molti signori e nobili, ognuno dei quali aveva dei propri possedimenti, territori, i propri contadini, il proprio esercito, il proprio castello ecc., su cui esercitava il proprio potere e di cui era padrone assoluto. Dunque, sebbene il re formalmente ci fosse erano i signori a comandare. Questo sistema comportava dei limiti, dal momento che lo stato risultava frazionato da innumerevoli interessi e leggi differenti. Pertanto era impossibilitato a creare un sistema giuridico-amministrativo unico che avrebbe garantito innumerevoli vantaggi. Proprio questa esigenza spinse gli stati ad attuare una riforma in senso assolutistico. Essa non fu dunque dettata dalla volontà dispotica di un particolare tiranno, bensì dalla necessità concreta di un'amministrazione più organizzata ed efficiente del territorio statale. A conferma di questo si può dire che una tale idea fu supportata teoricamente da filosofi come Hobbes, il quale ideò il concetto di stato come Leviatano, ossia un potere assoluto (dal latino ab - solutus, sciolto da vincoli - pertanto anche dalle leggi) che può fare qualsiasi cosa: è necessario che i sudditi cedano tutte le proprie Libertà per creare una tale forma di governo perché altrimenti morirebbero, dal momento che gli uomini, senza organizzazioni politico-contrattuali tendono a uccidersi.

Nell'Inghilterra del '600 c'era inoltre una nuova classe sociale che stava emergendo: la borghesia. Essa, pur ancora rinchiusa nei vincoli che il sistema feudale le imponeva inesorabilmente, si era arricchita sempre di più anche grazie ai commerci con le nuove colonie. L'accentramento del potere che il re avrebbe voluto attuare sottraendo inevitabilmente molte libertà ai sudditi l'avrebbe vincolata parecchio. Pertanto, durante la rivoluzione inglese, il re vide contrapporsi un parlamento formato non solo da nobili ma anche dalla nascente classe borghese che voleva tutelare i propri interessi economici. A questo si aggiunge anche un ulteriore aspetto: quello religioso.

La rivoluzione inglese infatti scoppiò anche per le tensioni che si erano originate fra il sovrano (che sarebbe dovuto essere anche il capo della chiesa anglicana) e le minoranze puritane e cattoliche. Questo aspetto risulta particolarmente significativo se si considera che all'esercito dei nobili che combatté contro il re quando scoppiò la rivoluzione, si affiancò un esercito di puritani guidato da Cromwell. Proprio quando questo esercito sconfisse quello del re, al suo interno sorse una discussione sul che cosa fare da quel momento in poi. L'esercito si divise in due: una parte democratica e una liberale. Quella democratica (composta principalmente da puritan) sosteneva che bisognasse ora estendere il diritto di voto a tutti i cittadini maschi, quella liberale era contraria a questa proposta poiché vedeva in essa una potenziale minaccia ai propri interessi economici. A prevalere fu chiaramente la parte liberale formata da borghesi, che all'epoca era sicuramente favorevole a una forma istituzionale rappresentativa, ma non era democratica, come nel '900 diverrà.

Scritto da Jonata

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