Hegel: il Bach della Filosofia

Bach e Hegel. Cos'avranno mai in comune due uomini vissuti in epoche, ideali e condizioni così differenti? A tutta prima, di fatti, parrebbe che il compositore di Eisenach e il filosofo di Stoccarda possano essere paragonati solo per il fatto che il Weltgeist (lo Spirito del mondo) si sia manifestato in loro, influenzando rispettivamente la Storia della Musica e della Filosofia. In questo articolo, invece, si inizia a delineare il rapporto fra questi due grandi pensatori attraverso il filo rosso che li accomuna: il Cristianesimo. Bach e Hegel: entrambi tedeschi, entrambi riformati. Molti teologi ancora oggi provano un immenso piacere nell'ascoltare le composizioni di Bach, financo il papa emerito Benedetto XVI ha dichiarato più volte che Bach è uno dei suoi compositori preferiti. "Bach ha trovato nella contemplazione della croce il sigillo per eccellenza che fonda la sua musica" scrivono gli autori de La teologia di Bach, due gesuiti. Chiaramente questo legame tra Bach e i teologi non è casuale. "Per Bach la musica era religione, comporla il suo credo, suonarla una funzione religiosa." Così Leonard Bernstein sintetizza il saldo rapporto di Bach con la religione. In effetti, se si va ad osservare più nel dettaglio i testi delle sue musiche vocali, si noterà come essi trattino degli argomenti molto importanti per la dottrina cristiana: dal peccato originale alla morte, dalla salvezza al dolore e alla sofferenza, ecc. Nella Cantata BWV 26, ad esempio, è trattato il tema della gloria terrena in tal modo: "Alta magnificenza e splendore / sono infine oscurate dalla notte della morte. / Chi è venerato come un dio / non sfugge alla polvere e alla cenere, / e quando suona l'ultima ora / in cui viene sepolto nella terra / e crollano le fondamenta della sua grandezza, / il suo ricordo sarà completamente cancellato." Molti altri esempi si potrebbero riportare... Ad ogni modo, in tutti i testi delle cantate bachiane permane la concezione di una gloria eterna raggiungibile solo attraverso lo sforzo in prima persona, talvolta anche molto doloroso. Inoltre, viene più volte sottolineato il ruolo fondamentale che (oltre alle opere buone le quali non sono però sufficienti al raggiungimento della gloria eterna) la fede di un uomo ha per la sua salvezza. La complessità di questi testi è non solo dovuta al fatto che sono stati curati da teologi e studiosi (che, per l'appunto, venivano scelti accuratamente da Bach) i quali rielaboravano brani della Bibbia e dei Vangeli: essendo lo stesso Bach un profondo conoscitore della dottrina teologica cristiana (egli era infatti un fine lettore e studioso dei testi sacri, tanto che sono stati ritrovati molti appunti e note a margine sulla sua Bibbia personale) era proprio Bach talora a intervenire sui testi delle proprie musiche. Alla luce di tutto questo e alla luce del fatto che ogni cantata bachiana è stata composta per una determinata festa liturgica, giova evidenziare un dettaglio apparentemente irrilevante. Molte di queste dediche sono indicate prendendo come punto di riferimento la festa della Trinità: ad esempio "Cantata composta per la 1a, 2a, 3a, ecc. domenica dopo la Trinità" (anche la cantata preferita del papa emerito, la BWV 140, è stata composta per la ventisettesima domenica dopo la Trinità). Questo può sembrare un fatto a tutta prima non particolarmente significativo; tuttavia, la Trinità è il concetto fondante del Cristianesimo: quest'ultimo si contraddistingue dagli altri monoteismi certamente per l'incarnazione, ma questa può essere inquadrata in un orizzonte più ampio che è l'uni-trinità di Dio. Dunque, il fatto che le dediche delle cantate di Bach prendano come punto di riferimento la festa che ha per oggetto il cuore della dottrina cristiana indica la grande conoscenza che il compositore di Eisenach aveva della religione a cui apparteneva. Peraltro, questa triadicità che nel Cristianesimo ritroviamo appunto nella Trinità, risulta essere anche un pilastro della filosofia hegeliana. Su tale triadicità, di fatti, si fonda il metodo dell'intero sistema del filosofo tedesco: la dialettica. Quest'ultima, già scoperta in realtà dall'iniziatore dell'idealismo Johann Gottlieb Fichte, è composta da tre momenti: il primo, affermativo, che è la tesi; il secondo, negativo, ossia l'antitesi; il terzo, mediativo, ovvero la sintesi. Detta in altri termini, nella dialettica, i primi due momenti, reciprocamente opposti, trovano una mediazione nel terzo. Osservando attentamente, la stessa Trinità cristiana può essere interpretata mediante la dialettica; anzi, potremmo affermare che il concetto di dialettica, seppur non formalizzato in tal guisa, fosse in realtà già presente nella dottrina cristiana. Dio padre sarebbe dunque il momento affermativo, l'"astratta idealità" (come direbbe Hegel); Gesù Cristo, invece, è il momento della negatività, ossia il momento in cui Dio Padre si svuota della propria astrazione per farsi concreto; lo Spirito santo, infine, è il momento in cui il Padre torna a sé, l'unione di Padre e Figlio, "Dio che ridiscende nella sua comunità come spirito" (scriveva Hegel). Va altresì rammemorato che tale movimento dialettico è intrinseco nella natura di Dio Padre, perché Dio non può rimanere astratto: Dio è infinito, e l'infinito essendo appunto infinito contiene in sé anche il finito (altrimenti non sarebbe infinito), pertanto se Dio rimanesse nell'astrazione mancherebbe della propria concretizzazione, ossia della dimensione del finito. Una volta che l'infinito, Dio Padre, si è fatto finito, è divenuto finito, il finito deve rientrare nell'infinito (che altrimenti, appunto, non sarebbe tale). Gesù Cristo deve quindi ricongiungersi con Dio come Spirito santo, in un momento che non è uguale al primo, e neppure al secondo. Esso è l'unità, intesa come armonia, di questi due: il primo momento arricchito dal secondo, l'astrazione arricchita dalla propria concretizzazione. In tutto questo poi, il momento movente, il momento che mette in moto tale processo, è il secondo: il negativo. Se non ci fosse non ci sarebbe neppure un terzo momento di riconciliazione dell'opposizione fra i primi due, in quanto l'opposizione non ci sarebbe. Il negativo, dunque, è necessario non solo perché il processo abbia luogo, ma anche per la realizzazione effettiva del processo stesso; tanto che Hegel parlava, nella Prefazione alla Fenomenologia della Spirito, di "Immane potenza del negativo". Attraverso la dialettica, dunque, Hegel riesce a dare una spiegazione anche del dolore, del male, dei tormenti, della sofferenza nel mondo. Una spiegazione che, ancora una volta, non è molto dissimile rispetto a quella data dal Cristianesimo. Secondo questo, di fatti, il dolore terreno sarà ricompensato con la gloria eterna (un esempio fra tutti è il Calvario di Gesù Cristo, il quale non poteva non accadere affinché poi ci fosse la Pasqua). In conclusione, ci sembra che l'intero discorso non possa essere meglio riassunto se non da questi righi dal testo della prima aria della Cantata BWV 12 "Lacrime, lamenti, angosce, tormenti" di Johann Sebastian Bach: "Croce e corona sono legate / combattimento e vittoria sono inscindibili. / I cristiani subiscono in ogni momento / i tormenti e i nemici che li assediano, / ma la loro consolazione è nelle piaghe di Cristo."

Scritto da Jonata


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