Apologia del Covid-19

Buongiorno a tutti. Benché non sia affatto necessario, data la mia notorietà, mi presento: sono il dottor Alessandro, reputato uno dei più giovani e brillanti avvocati della provincia di Venezia e titolare del più grande studio legale del Veneto. Ma, per quanto lo preferirei, non sono qui per parlare della mia carriera. Il motivo per cui sto elaborando questo scritto risiede, invece, in una sfida lanciatami qualche giorno fa dal mio collaboratore ed amico Francesco: patrocinando il Coronavirus davanti a una corte d'appello immaginaria, riuscire per lo meno a fargli evitare l'ergastolo e ottenere, magari, una condanna alla detenzione domiciliare. Devo ammettere che è un'impresa ardua anche per me, signori! Dunque, come immagino che abbiate già capito, in questo testo cercherò di addurre validi argomenti a favore del mio cliente, inserendo anche conoscenze, opinioni ed esperienze personali (è il mio modo per unire svago e lavoro) e determinando, così, se sia possibile o meno vincere la causa, qualora essa fosse reale. Nessuno potrà negare che la pandemia di Covid-19 che imperversa oggi, se da un lato ha stravolto le nostre vite, dall'altro ci ha offerto un dono inestimabile: il tempo. E se pensiamo a quante persone, prima del virus, si lamentavano di non averne abbastanza per le loro passioni, in quanto oberate di lavoro e incombenze, allora questo tragico evento ha prodotto anche delle conseguenze favorevoli. Infatti, mentre prima erano travolte dai ritmi frenetici del quotidiano, ora possono dedicarsi esclusivamente a sé stessi e a ciò che amano e questa, a mio avviso, è un'occasione che non dev'essere sprecata. Per quanto mi riguarda, il passaggio dalla vita precedente a quelladi oggi, per quanto sia stato traumatico, mi ha restituito la serenità che avevo a lungo dimenticato. Era ormai da alcuni mesi, infatti, che non giocavo una partita di calcio in cortile con mio padre o che non mi godevo una colazione con la mia famiglia in terrazza, ma, soprattutto, che non ritagliavo dello spazio nelle mie giornate per fare qualcosa esclusivamente legato a me stesso, come scrivere la poesia che citerò più avanti. I vantaggi recati dal Coronavirus, però, non si fermano qui. Infatti, come tutti gli avvenimenti epocali, anche il Coronavirus ci ha consentito di capire  velocemente delle lezioni che avrebbero richiesto molto più tempo per essere assimilate o che addirittura non avremmo mai imparato, confermando quanto sosteneva Marco Tullio Cicerone a proposito della storia: uno dei suoi ruoli fondamentali è quello di magistra vitae. Certamente, il più prezioso insegnamento che possiamo ricavare dalla situazione odierna è che il mondo, ormai, è interconnesso in ogni sua parte. Nell'introduzione alla prima giornata del Decameron, Boccaccio spiega come il morbo fosse giunto in Europa dall'Oriente; il Crollo di Wall Street non sconvolse solamente l'economia statunitense, ma gran parte di quella globale; il Covid-19, partendo dalla Cina, lascia ora intatti solo 22 Paesi su 196: osserviamo, dunque, come quelli che all'apparenza potrebbero essere considerati degli eventi cronologicamente e concettualmente distanti testimonino, in realtà, l'evoluzione del medesimo fenomeno, vale a dire la globalizzazione.E ai nostri tempi, questo processo ha raggiunto un livello tale che i confini che vediamo così chiaramente sul mappamondo, tanto marcati e precisi da sembrarci delle barriere invalicabili, non esistono più. Guardando il lato positivo, ciò significa che la prosperità di ogni nazione corrisponde anche alla nostra prosperità; guardando quello negativo, però, vuol dire anche che il problema di uno è il problema di tutti, l'emergenza di uno è l'emergenza di tutti e, cosa che stiamo vivendo ora sulla nostra pelle, la salute di uno è la salute di tutti. A questo punto, credo che tutti converranno con me nel dire che la presente pandemia non avrebbe potuto spiegarci questo concetto in modo più rapido ed efficace di quanto sta facendo adesso, seppur adottando dei sistemi esecrabili. Tutte le pestilenze che si sono diffuse nel corso della storia hanno profondamente turbato la mentalità dell'uomo, tanto da trasformarne irrevocabilmente l'esistenza. In alcuni casi, il malessere fisico provocato da queste terribili malattie è sfociato in un più ampio malessere spirituale, intaccando la moralità e mostrando il lato più oscuro e ferino dell'essere umano. Tucidide, ad esempio, ci descrive come, in seguito all'arrivo della peste ad Atene, i cittadini ricerchino sfrenatamente ogni tipo di piacere immediato e, vedendo che tutti morivano allo stesso modo, indipendentemente dalla classe sociale, sviluppino una totale indifferenza verso gli dei; similmente, Matteo Villani ci presenta una Firenze in cui i sopravvissuti al morbo risultano irrimediabilmente corrotti e conducono una vita all'insegna della licenziosità; Daniel Defoe, invece, registra un fatto che forse colpisce più di ogni altro, e cioè che il pericolo di morte distruggeva ogni sentimento d'amore, non solo con il risultato di rendere diffidenti e distaccati tra loro anche i membri di una stessa famiglia, ma, in circostanze estreme, di indurre le madri ad assassinare i propri figli. In altri casi, invece, questi periodi critici hanno avuto un impatto estremamente positivo sulle persone, offrendo ai peccatori la possibilità di redimersi dalle loro colpe (come fa la tubercolosi con la Fantine dei Miserabili) e ai virtuosi di elevarsi a nuove altezze morali (come accade per Paul Dombey in Dombey e figlio di Dickens): rivelando, dunque, gli aspetti migliori del carattere umano. Chi può dire che non accadrà lo stesso anche oggi? Oltre a giovare alla personalità dell'individuo, però, le epidemie hanno avuto un influsso positivo anche sul suo genio creativo, costituendo una fonte di ispirazione essenziale per artisti e letterati, senza la quale ora non potremmo fruire di capolavori come il Decameron di Boccaccio, la Diceria dell'untore di Gesualdo Bufalino o la Bambina malata di Edvard Much. E questo è il motivo per cui non mi stupirei se, al termine della quarantena, in librerie, cinema e persino album di Spotify comparisse sempre più spesso il titolo Coronavirus. Benché mi sia davvero sforzato nel perorare per il mio cliente, non credo, tuttavia, che la mia linea di difesa reggerebbe se la controparte muovesse un'accusa tanto grave come questa: il Covid-19 ha perpetrato quasi 155 000 omicidi dolosi. E come se non bastasse, bisogna anche considerare l'aggravante che l'epidemia non ha solamente causato la morte di queste vittime, intesa in senso stretto come la privazione della vita, ma ha anche provocato la sofferenza di tutti i loro amici e familiari. In altre parole, essa è stata peste anche nel modo in cui la concepisce Camus, cioè come metafora della condizione umana nell'inevitabile momento in cui ognuno di noi sperimenta il dolore, costringendo moltissime persone a riconoscersi cittadine del regno dello star male.

Mi avvicino.
Tremanti,
le mie dita sfiorano le tue,
più fredde, inerti.
Sveglia! Sono Ale.
Svegliati! Rispondi!
Silenzio:
forse mi è sfuggito,
forse mi è stato tolto
il tempo per dirti addio.

Questa è stata la prima volta in cui ho compreso cosa fosse realmente la sofferenza e, dunque, cosa Camus intendesse per "peste". Mi sentivo del tutto impotente davanti alla morte e rimpiangevo di non aver trascorso più tempo con chi, in quel momento, rischiavo di non vedere mai più. Riponevo ogni mia speranza nella preghiera, implorando Dio affinché la salvasse: questo era il mio modo di lottare. Devo ammettere con grande sconforto che, nonostante le mie straordinarie doti in ambito forense, non sarei mai riuscito a far ottenere uno sconto di pena al mio cliente. In conclusione, dichiaro il Coronavirus colpevole e me stesso avvocato delle cause perse!

Scritto da Alessandro


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